È solo questioni di mesi, in qualche caso di poche settimane, ma ben altre quindici botteghe storiche della Capitale tireranno giù per sempre le saracinesche. Ne sono rimaste 198.
Un’emorragia senza fine, iniziata da qualche anno a Roma, che ha come protagonisti gli artigiani un tempo patrimonio unico della città, ora considerati “merce rara”, anzi rarissima, destinata ad estinguersi. La Cna di Roma ha organizzato una mostra fotografica con le foto delle botteghe a rischio scomparsa e ha scelto un locale simbolo di questa disfatta, il Caffè della Pace, a due passi da piazza Navona, sfrattato dall’Istituto Teutonico Pontificio, sembra senza possibilità di ripensamenti. C’è l’unico plissettaio romano, le Sorelle Antonini, che a via Quintino Sella sta dalla bellezza di 120 anni. C’è Luigia Merafina della bottega Happy Day’s, in via del Plebiscito, che per 40 anni ha servito bomboniere agli esponenti politici della Democrazia Cristiana. E poi Sergio Franci, dell’Antica Stamperia Trevi, in via dell’Umiltà, che dal 1780 ha “servito” re, regine, papi, cardinali; Gianluca Lorenzale, di Antichità Lorenzale in via dei Coronari, il creatore della tre giorni di antiquariato sulla strada che riunisce il maggior numero di botteghe del genere, che ieri non era presente all’inaugurazione della mostra perché nel suo locale era arrivato l’ufficiale giudiziario per sfrattarlo. Molto spesso, al posto di queste botteghe, sorgono pub, take away gestiti da stranieri, negozi di chincaglieria cinese. Le strade perdono man mano la loro identità e gli antichi mestieri spariscono. È il portafoglio, quasi sempre, a fare la differenza. I proprietari delle mura, una volta che i contratti con gli artigiani vanno a scadenza, preferiscono investire in attività più redditizie e poco importa se, sfrattando, contribuiscono a impoverire il patrimonio della città. Un caso emblematico quello del Caffè della Pace, sta lì da più di un secolo, la proprietà sembra voglia trasformarlo nella hall di un albergo. Al posto della bottega di bomboniere della signora Merafina, invece, sorgerà un pub, a nulla è servito cercare di convincere i proprietari a trattare sul costo del canone di affitto: un pub rende più di una bottega, di questi tempi. Stesso destino per la vecchia location della Casa delle Bambole di via Magnanapoli, sfrattati dal Comune di Roma e ricollocati in via Flaminia. Ieri, alla mostra, c’era anche la proprietaria della bottega, la signora Cesaretti, che non ha usato mezzi termini: «Oltre il danno, la beffa, abbiamo saputo che là dove c’era il nostro locale ora c’è una panineria gestita da stranieri». «La situazione è seria, lo sappiamo bene – chiosa Marta Leonori, assessore capitolino al commercio – l’amministrazione sta facendo il possibile per mettere al riparo le botteghe artigiane dagli sfratti, ma non è facile. Stiamo lavorando insieme alla Regione e al Governo, grazie all’impegno della senatrice Daniela Valentini, per riconoscere lo status di beni culturali alle botteghe storiche, ma la strada non è breve mentre purtroppo la crisi degli artigiani è ormai notizia di ogni giorno». Rincara la dose Giulio Anticoli, Presidente di Botteghe Storiche Cna: «Troppe realtà sono a rischio, complice non solo la crisi ma condizioni territoriali e culturali che rendono di fatto questa città poco attenta verso risorse che andrebbero valorizzate al pari del turismo». Sulla questione interviene anche Guido Fabiani, assessore al commercio della Regione. «La tutela delle botteghe e dei locali storici e il sostegno alle attività tradizionali sono tra gli obiettivi che la Regione Lazio vuole perseguire con il nuovo Testo Unico del Commercio, che la Giunta Regionale approverà entro fine mese e che poi passerà al vaglio del Consiglio Regionale. Anzitutto il testo prevede dei criteri precisi perché locali, negozi, botteghe, librerie, teatri e cinema possano essere definiti storici e vadano valorizzati e tutelati». In poche parole, si tuteleranno le botteghe d’arte, le attività con almeno 40 anni di vita, i locali connotati da particolare valore storico-artistico o sottoposti a vincoli. Anche se non è ancora ben chiaro in quale modo e con quali tempi.